Le occasioni da non lasciarsi scappare
Sono molti i fattori che permettono ad un professionista di migliorare la propria carriera professionale: in primo luogo, ovviamente, ci sono le capacità, le competenze, le soft skills… ma ci sono anche degli elementi fortuiti, come per esempio l’incontro giusto al momento giusto. Ma nemmeno in quest’ultimo caso si parla solamente di fortuna. Anzi, da un certo punto di vista si potrebbe persino dire che anche quella parte del destino che più delle altre sembra dettata dal caso segue in fondo in fondo un andamento meritocratico. Voglio farvi un esempio: supponiamo che voi abbiate un’idea fantastica, e che però solo una persona al mondo possa capire il potenziale del vostro progetto. Immaginiamo poi che, del tutto casualmente, voi incontriate quella determinata persona in un ascensore, condividendo con lui un viaggio dal piano terra al settimo piano: sareste in grado di convincerlo della bontà della vostra idea in quel brevissimo periodo di tempo? Ecco, in caso negativo, vi sareste giocati un bel salto di qualità sul piano delle vostre aspirazioni: la fortuna vi aveva servito un assist da sogno, e voi lo avete sprecato, in quanto preparati. Questo può succedere a chiunque: sia ai piccoli e medi imprenditori, sia ai professionisti coinvolti in un processo di ricerca e selezione del personale.
Elevator pitch: cos’è?
Ma come si può essere sicuri di non lasciarsi sfuggire occasioni simili? La soluzione è costituita dall’elevator pitch. Mai sentito? Ebbene, in parole molto semplici, si tratta di un breve e conciso discorso teso a catturare l’attenzione ed il favore dell’interlocutore. Il termine elevator pitch e la sua formalizzazione non potevano che arrivare direttamente dalla Silicon Valley, terreno fertilissimo per i progetti più innovativi, dove gli incontri in ascensore – o in caffetteria, o al parcheggio, o ad una conferenza – hanno determinato l’evolversi del settore digitale.
L’idea di base è che ogni brillante startupper o ogni promettente professionista dovrebbe essere in grado di presentare le proprie idee e le proprie capacità nel ristretto tempo di una corsa in ascensore. Perfetta metafora di un mondo che corre velocissimo e che lascia pochi spiragli per una comunicazione realmente efficace, l’elevator pitch (che potrebbe essere tradotto in ‘parlantina da ascensore’) è diventato col tempo una delle tecniche più utilizzate dai candidati per presentarsi al meglio nelle occasioni di ricerca e selezione del personale. Durante un colloquio, per esempio, questo tipo di discorso può essere perfetto per rompere il ghiaccio: solitamente la sua durata deve essere compresa tra i 90 e i 180 secondi.
Il consiglio del recruiter
L’elevator pitch, nel campo della ricerca e della selezione del personale, può dunque essere visto come un’auto-presentazione di alto livello in grado di aumentare le probabilità di essere scelti durante un colloquio di lavoro. Una premessa, però, è fondamentale: in qualità di head hunter, voglio ovviamente sottolineare che nessun discorso può ribaltare le sorti di un colloquio conoscitivo. Eppure sono moltissimi i candidati che si presentano con dei discorsi lunghi, impersonali e senza nerbo, in grado di innervosire anche il più paziente dei recruiter. Al contrario, per il bene del candidato, dell’interlocutore e dello stesso processo di ricerca e selezione del personale, un discorso breve in grado di mettere in risalto i punti di forza del professionista può davvero fare la differenza, anche solo per avviare nel modo giusto un colloquio.
Dimostrami di essere migliore degli altri
Un candidato che si siede ad una sedia davanti ad un cacciatore di teste dovrebbe prima di tutto tenere presente che molti altri lo hanno preceduto e tanti altri lo seguiranno: se per lui quel colloquio è una veloce capatina nel mondo della ricerca e selezione del personale, per l’intervistatore quella è normale routine. Quando io e miei colleghi chiediamo ‘Mi parli di lei’, non vogliamo sentire una storia che parte dall’asilo e che arriva fino ai nostri giorni, né vogliamo un riassunto della carta d’identità o della prima facciata del curriculum vitae. No: quello che davvero desideriamo è sapere se voi siete davvero i tipi che stiamo cercando. Quindi il classico “Mi parli di lei” è una forma gentile e indiretta che sostituisce un troppo esplicito “Sei tu quello che risolverà i problemi del mio cliente?”. Questo è quello che noi vogliamo sapere: quello che il candidato deve dire, invece, è il suo migliore elevator pitch.
La prima impressione nella ricerca e selezione del personale
Ogni volta che un cacciatore di teste dice che ‘la prima impressione è quella che conta’ un candidato rischia di svenire da qualche parte del mondo; eppure, come diceva Oscar Wilde, «non avrai una seconda occasione per fare una prima buona impressione». Nel mondo della ricerca e della selezione del personale questo significa che no, due minuti di discorso brillante all’inizio del colloquio non risolvono la situazione, ma che d’altro canto due minuti di mormorii, mezze parole e silenzi possono porre fine ad un colloquio già dall’inizio. A determinare l’importanza della prima impressione concorrono del resto numerosi studi scientifici: uno studio dell’Università di Princeton risalente al 2006 ha per esempio dimostrato che ci facciamo un’idea di una persona a partire dalla forma del suo viso, e il tempo richiesto è pari ad una frazione di secondo. Da qui nascono molti pregiudizi, che diventano difficilissimi da cancellare una volta insediati nella mente dell’interlocutore. Fondamentali in questi primi istanti, secondo uno studio pubblicato nel 2009 dalla rivista Personality and Social Psychology Bulletin, sono inoltre lo stile e la postura del ‘nuovo arrivato’.
Sono molto interessanti poi, soprattutto per chi si occupa di ricerca e selezione del personale, i risultati della ricerca della psicologa americana Amy Cuddy, secondo la quale la prima impressione si dà nel giro di soli 3 secondi: se all’inizio di un colloquio sarà negativa, nel caso in cui il candidato non sia in grado di stabilire immediatamente una proficua connessione di tipo emotivo con l’intervistatore, il colloquio sarà molto probabilmente un insuccesso, un flop. E cosa ci può essere di meglio per ‘connettersi’ con un cacciatore di teste che sciorinare con alta maestria retorica un elevator pitch onesto, persuasivo e convincente?
L’elevator pitch durante un colloquio: come iniziare
Dunque, come abbiamo visto, anche il punto cruciale del processo di ricerca e selezione del personale, ovvero il colloquio, è in primo luogo una questione di strategia comunicativa: un candidato capace di comunicare al meglio la propria figura avrà infatti maggiori chance di catturare l’interesse di un recruiter. E non parlo solo del contenuto del discorso. Un elevator pitch deve essere sorretto da una buona dose di entusiasmo: la formalità di un colloquio non esclude infatti un minimo di ritmo e di coinvolgimento! Oltre a questo, nel preparare il vostro centinaio di secondi di discorso, eliminate tutto quello che può sembrare aria fritta. Bando alle astrazioni, dunque: partite indicando quali dei requisiti fondamentali e delle competenze richieste nella job description vi appartengono maggiormente.
In questo modo chiarirete fin da subito il perché siete adatti a quella posizione. Poi potrete passare alla descrizione veloce della vostra esperienza professionale: un consiglio prezioso è di dare concretezza a tutto quello che direte. Non parlate per esempio di ‘ottimi risultati‘ nella vostra ultima occupazione, citate invece i risultati veri e propri. Usate brevi aneddoti per illustrare le vostre skill, ricordandovi che il recruiter ha già letto tutto il vostro curriculum vitae. La vostra storia professionale è già davanti a suoi occhi: quello che dovete fare voi, invece, è incuriosirlo!
L’elevator pitch durante un colloquio: come concludere
Fino a qui potrebbe sembrarvi tutto abbastanza semplice. Sbagliato. Sono anni che opero nel campo della ricerca e della selezione del personale, e vi assicuro che solo una minima percentuale di candidati è in grado di formulare un elevator pitch di alto livello. Nel caso in cui voi – seguendo i miei consigli – siate riusciti a presentare in maniera ottima le vostre capacità e la vostra esperienza in meno di 100 secondi, ora è arrivato il momento di capitalizzare, dimostrando cioè al recruiter che voi siete la scelta giusta, e che il processo di ricerca e selezione del personale si ferma con voi. Per fare questo, dovete individuare qualcosa che vi faccia volare più in alto degli altri candidati. Può essere semplicemente una soft skill, una competenza tecnica, una particolare esperienza professionale… ognuno di voi deve pensare al proprio asso nella manica, e sfoderarlo nel momento più opportuno, ovvero alla fine del vostro discorso di presentazione.
Conclusione
Attenzione: 100, 140, 180 secondi passano davvero in fretta, e difficilmente troverete un recruiter disposto a lasciarvi parlare liberamente per un lasso maggiore di tempo. Siate sintetici, provate il discorso davanti ai vostri amici e familiari, e cercate di concludere spiegando al vostro interlocutore ‘cosa vi rende speciali’. Il vostro obiettivo è quello di innescare una sincera curiosità nel recruiter: una volta fatto un elevator pitch efficace, preparatevi quindi a rispondere a tutte le sue domande.
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